PI-PIO (Il Lampione del 1862)

Santo Padre, ora a me punge vaghezza
Di dirvi due caldissime parole,
Ma dirvele con calma, con dolcezza,
E con affetto come a voi si suole.
Anzi tutto sappiate che da noi
altamente si mormora di voi,
Si dice verbi grazia
Che siate incaponito nell’idea
Di conservar col remo anco lo scettro,
Cosa mondan che Pietro non avea,
E che, Dio faccia un di vi affligga il vero,
Dal quarantotto in poi
Non fate che attaccarvi allo straniero,
Benedirlo e assoldarlo contro quelli
che dovreste nomar ostri fratelli.
Un che professa altier la fe’ di Cristo
Io son, benché non sia frate né prete;
Forse da voi sarò creduto un tristo,
V’ingannate; mi udite e decidete:
Il più bel libro che si trova in terra
Che sante, eterne massime rinserra
Conoscete qual sia?..
E’ il vangelo, retaggio invidiato
Lasciatovi dai primi antecessori
E’ un libro di condanne commentato,
Non arricciate il pel, Padre, la storia
Credetelo, non erra,
E ricorda di voi, Dio v’abbia in gloria,
Bagatelle sul far del medio evo,
Ma come buon cristian tacerle io devo.
Santo Padre, parliamoci schiettamente
Parliamoci intendo dir col cuore in mano:
Un giorno la smembrata Itala gente
Gioiì nel salutarvi in Vaticano;
Vi disse l’uomo di Dio, l’uom che redenta
Voluta avrebbe la natia eruenta
Lagrimabile terra;
Sculta l’immagin vostra in ogni core
Come quella d’un angelo vivea,
D’un angel che minaccia all’oprressore;
Voi qual serbaste a tanto amor mercede?
Chi ancora soffre rammenta
La mal risposta e lagrimata fede:
Perdonate al mio dir, sono seguace
Del vero, e me ne duol se ven dispiace.
Nel qurantotto d’amor patrio un lampo,
Per cui vi si dicea caldo Italiano,
Ratto v’indusse a scendere sul campo
Dove unito al patrizio il popolano
E il veglio al pro garzon per la rapita
Lor pianta libertà davan la vita;
Ma pentitovi o forse
Mal consigliato dalla giallo-nera
Congrega che v’attornia, all’improvviso
Abbandonaste l’Itala bandiera,
E scagliando anatemi, innocui ferri
Di bottega fallita,
In far codardi acciar di compri sgherri,

Colmo d’inestinguibile paura
Correste di Gaeta entro le mura.
Se abbiate agito mal io non vel dico,
Piissimo pastore benedetto;
Coi papa-re , credetemi, non m’intrico
Poiché so che per lor ci vuol rispetto:
Ma che un tanto presente non arrivi
A farvi alfin comprendere che i vivi
Han d’uopo di respiro
E d’unirsi nell’Itala famiglia,
Se deggio palesar la mia pochezza
Ciò mi desta ben alta meraviglia,
Como pur mi stupisce e mi addolora
Sapere i tanti rivi
Di sangue che per voi scorron tuttora,
Dove vengon protetti que’ribaldi
Dispersi dall’amico Garibaldi.
Se un di la vostra storica insistenza
Vi fruttasse l’imper di tutta Italia,
Armati di coraggio e pazienza
Diremmo : Ebbene si ritorni a balia,
Ma siccome l’insister d’oggigiorno
Non può che fruttarvi che dolore e scorno
Pel semplice motivo
Che gl’Italiani si ficcaro in mente
Di racquistar l’antica capitale,
Ostei di scalta interessata gente,
Mi pare che dovreste quatto quatto
Guardarvi alfine intorno,
Metter le pive in sacco, e dar lo sfratto
A qualche forestier che teme l’ora
Prossima tanto di mutar dimora.
[…]
Sul poter che si appella temporale.
Amatissimo Padre, io prego il Cielo
Che mal per gl’Italiani non v’accada,
Ma ritornate docile al Vangelo,
Ma ritornate sulla buona strada:
[…]
Nei tempi in cui viviamo, e ben vedete
Che adesso si ragiona,
Indurre vi si vuole all’umil rete,
Pastor di pecorelle che smarrita
Abbian la via della seconda vita.
Di tutto cuore vi sarà concessa
L’infallibilità, ma pei misteri
Della Fe’, della triade, della Messa,
E non per patteggiar con gli stranieri:
Ognuno a casa sua, queste contrade
Uopo non han di pellegrine spade;
A che venner fra noi
Nella terra de’ morti?… E’ tempo alfine
Di dover separar dai morti i vivi
E cacciarli per sempre oltre il confine
Di questo Camposanto; a noi la tolta
Ritorni Libertade
E a voi, spogliato in breve della stolta
Vaghezza di regnar, tornin le afflitte
Vaganti pecorelle derelitte!

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